Archivi tag: sandro bongiani

PAGINE DI VIAGGIO DI ARTE INTERATTIVA & GLOBALE

701 - 1887 - Kurt Schwitters - Ecology, - Card di Giovanni Bonanno, 2015. Bongiani Ophen Art Museum._3_2
“PADIGLIONE  LAUTANIA VIRTUAL  VALLEY
UNIVERSI POSSIBILI / Verso La Globalità Intelligente
“Kurt Merz/Ecology”  &  “Area di Confine Porta Duchamp”  
Da sabato  6 maggio 2017 a domenica 26 novembre 2017
701 - 1887 - Kurt Schwitters - Ecology, - Card di Giovanni Bonanno, 2015. Bongiani Ophen Art Museum._3
PADIGLIONE  LAUTANIA VIRTUAL  VALLEY
UNIVERSI POSSIBILI / Verso La Globalità Intelligente
 
1° evento  contemporaneo ed indipendente  progettato in contemporanea con la 57thBiennale Internazionale d’Arte di Venezia 2017
Mostra collettiva internazionale / “Kurt Merz/Ecology”
Da sabato  6 maggio 2017  a domenica 13 agosto  2017
2° evento  contemporaneo ed indipendente  progettato in contemporanea con la 57thBiennale Internazionale d’Arte di Venezia 2017
Mostra Collettiva internazionale / “Area di Confine Porta Duchamp”
Da lunedì 28 agosto 2017  a domenica  26 novembre 2017 
 
 
MARCEL  DUCHAMP  / 1887 – Area di Confine  Porta Duchamp
 
Mostra collettiva internazionale  dedicata  a  Marcel Duchamp
a cura di Giovanni  Bonanno / Secondo  evento  contemporaneo ed indipendente  progettato in concomitanza con la 57th Biennale Internazionale d’Arte di Venezia 2017
Dal 28 agosto al 26 novembre 2017
Inaugurazione:  lunedì  28 agosto  2017,  ore 18.00
Ophen Virtual Art Gallery, Via S. Calenda, 105/D – Salerno Tel/Fax 089 5648159
e-mail:  bongiani@alice.it
Orario continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00
Area di confine porta Duchamp 2015.
 
 
 
SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY
PAVILION  LAUTANIA  VIRTUAL  VALLEY  / 1887 – Kurt Schwitters & Marcel Duchamp “UNIVERSI  POSSIBILI / Verso La Globalità Intelligente”  a cura di  Giovanni Bonanno. Dal 6 maggio 2017 al 26 novembre 2017– Due proposte  internazionali presentate in contemporanea con la 57th Biennale Internazionale d’Arte di Venezia 2017.

MARCEL  DUCHAMP  / 1887 – Area di Confine  Porta Duchamp
Mostra collettiva internazionale  dedicata  a  Marcel Duchamp
a cura di Giovanni  Bonanno / Secondo  evento  contemporaneo ed indipendente  progettato in concomitanza con la 57th Biennale Internazionale d’Arte di Venezia 2017
Dal 28 agosto al 26 novembre 2017
Inaugurazione:  lunedì  28 agosto  2017,  ore 18.00
Ophen Virtual Art Gallery, Via S. Calenda, 105/D – Salerno Tel/Fax 089 5648159
e-mail:  bongiani@alice.it

Orario continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00

Per i 130 anni dalla nascita  di  Marcel Duchamp (Blainville-Crevon, 28 luglio 1887 – Neuilly-sur-Seine, 2 ottobre 1968), lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery in occasione della 57° Biennale di Venezia 2017, intende dedicare l’attenzione come evento indipendente e contemporaneo presso il “Pavilion  Lautania  Virtual  Valley”   a Marcel Duchamp e Kurt Schwitters    che riassumono compiutamente il concetto  di   indagine intesa come il luogo privilegiato per rilevare i sogni e le utopie che nella dimensione metafisica e mentale suggeriscono  mondi e immaginari collettivi.  Nell’assemblage tridimensionale “Etant Donnés” Duchamp lavora in gran segreto nell’ultimo ventennio della sua vita. Nel 1968, al momento di lasciare New York per andare a trascorrere l’estate in Europa, il lavoro è ormai ultimato e Marcel prima di morire si preoccupa di organizzare la sua presentazione finale preparando un manuale di istruzioni per il montaggio della costruzione, accludendo fotografie, note e un modellino in scala. L’opera  ancora assai poco conosciuta nasce nel bisogno  di porsi al di là, di definire  e mettere in forma totale una possibile estensione dell’altro, nella  necessità  ulteriore di metabolizzare la  realtà. Un’invenzione giocata a tutto campo su  proiezioni di frammenti e“universi possibili”, tra la libertà della creazione e la globalità intelligente del fare arte. In questa   seconda collettiva internazionale sono presenti 72 opere di altrettanti importanti artisti  che hanno voluto  condividere  tale proposta come artisti di frontiera  a margine  di un  possibile confine e spartiacque al  sistema omologato  dell’arte ufficiale.
Portrait of Marcel Duchamp by Victor Obsatz (1953)
Artisti:
Marcel Duchamp, Francia Ruggero Maggi, Italia I John M. Bennett, Usa I Luisa Bergamini, Italia Vittore Baroni, Italia I Fernanda Fedi, Italia Emilio  Morandi, Italia Pier Roberto Bassi, Italia Mauro Molinari, Italia Rosa Gravino, Argentina Leonor Arnao, Argentina Linda Paoli,  Italia I  Lancillotto  Bellini, Italia I Anna Boschi, Italia Stathis Chrissicopulos, Grecia Rosalie Gancie,  Usa Daniele  Virgilio, Italia Antonio  De Marchi Gherini, Italia I Claudio Grandinetti, Italia I  Carmela Corsitto,  Italia Alfonso  Caccavale, Italia Maya Lopez Muro, Italia Franco Altobelli, Italia Lucia Spagnuolo,  Italia Clemente Padin, Uruguay Renata e Giovanni Strada, Italia Willemien Visser, Germania Bruno Cassaglia, Italia I Lamberto Caravita, Italia I C. Mehrl  Bennett, Usa Borderline Grafix, Usa I Daniel  Daligand,  Francia I Carlo Iacomucci, Italia Mabi Col, Italia I Guido Capuano, Italia I Francesco Aprile, Italia I Gino Gini, Italia I Pascal Lenoir, Francia  Adolfina De Stefani, Italia Carl Baker,  Canada Virginia Milici, Italia Oronzo Liuzzi, Italia Giovanni Bonanno,  Italia Marcello  Diotallevi,  Italia Donjon Evans, Usa I  Maria Josè Silva – MIZE’, Portugal I  Laura Agostini,  Italia David Drum, Usa Lilian Pacheco, Brasile Antonio Sassu, Italia Jacob de Chirico, Italia Cesar Reglero Campos, Spagna I Domenico Severino, Italia Roberto Scala, Italia Angela Caporaso, Italia I Claudio Romeo, Italia Cinzia Farina, Italia Marina  Salmaso, Danimarca Maribel Martinez, Argentina Rosanna Veronesi, Italia Remy  Penard, Francia Fulgor C. Silvi,  Italia Mighel  Jimenez, Spagna Ramona Palmisani, Italia G. Franco  Brambati, Italia Rossana Bucci, Italia I Rolando  Zucchini, Italia Cecilia Bossi, Italia I Maria Teresa Cazzaro, Italia I Mauro Dal Fior, Italia I Joey  Patrickt, Usa  I Josè Luis Alcalde Soberanes, Mexico.
Marcel Duchamp
BIOGRAFIA  DI  MARCEL DUCHAMP (1887-1968) Biografia Henri-Robert-Marcel Duchamp nasce il 28 luglio 1887 nei pressi di Blainville, in Francia. Nel 1904 frequenta i corsi di pittura all’Académie Julian fino al 1905. Le sue prime opere sono di stile postimpressionista. Espone per la prima volta nel 1909 al Salon des Indépendants e al Salon d’Automne di Parigi. I suoi dipinti del 1911, in stretto rapporto con il cubismo, tendono tuttavia a rappresentare immagini successive di un corpo in movimento. Nel 1912 dipinge la versione definitiva di Nudo che scende le scale: l’opera viene esposta al Salon de la Section d’Or dello stesso anno e in seguito, nel 1913, all’Armory Show di New York, dove susciterà grande scalpore. Le idee iconoclastiche e radicali di Duchamp precorrono la nascita del movimento Dada, che avverrà a Zurigo nel 1916. Dal 1913, abbandonati la pittura e il disegno tradizionali, si dedica a forme d’arte sperimentali elaborando disegni meccanici, studi e annotazioni che verranno inclusi nella sua grande opera degli anni 1915-23, La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche. Nel 1914 realizza i primi “readymade” (oggetti di uso comune, a volte modificati, presentati come opere d’arte) destinati ad avere effetti rivoluzionari per molti pittori e scultori. Nel 1915 Duchamp soggiorna per la prima volta a New York. Dalla metà degli anni ’30 collabora con i surrealisti e partecipa alle loro mostre. Si stabilisce in modo definitivo a New York nel 1942 e diviene cittadino statunitense nel 1955. Negli anni ’40 è in contatto con i surrealisti emigrati a New York e con essi espone varie volte. Nel 1946 comincia a realizzare Etant donnés, un grande assemblage al quale lavorerà segretamente per i successivi vent’anni. Muore a Neuilly-sur-Seine, nei pressi di Parigi, il 2 ottobre 1968.
Presentazione:
2 - Marcel Duchamp, Étant donné, 1946-1966, Philadelphia Museum of Art - Usa
 
 
 
MARCEL  DUCHAMP /  1887 – Area di confine porta Duchamp  
Per i 130 anni dalla nascita  di  Marcel Duchamp (Blainville-Crevon, 28 luglio 1887 – Neuilly-sur-Seine, 2 ottobre 1968),  lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery in occasione della 57° Biennale di Venezia 2017, intende dedicare l’attenzione come evento indipendente e contemporaneo presso il “Pavilion  Lautania  Virtual  Valley”   a due artisti dadaisti nati nel 1887, Marcel Duchamp e Kurt Schwitters  che riassumono compiutamente il concetto  di   indagine intesa come il luogo privilegiato per rilevare i sogni e le utopie che nella dimensione metafisica e mentale suggeriscono  mondi e immaginari collettivi. Lo Spazio Ophen dopo aver dedicato l’attenzione nel 2015, in occasione della precedente Biennale di Venezia a due artisti giapponesi come Shozo Shimamoto e Ryosuke Cohen,  “dentro e fuori il corpo”, (The World’s  Futures / Inside and outside the body), intende ora indagare il lavoro dei  due artisti  dadaisti e globali  tra “Aperto e Chiuso / Closed and Open” con due  rispettive mostre internazionali a loro dedicate volte ad approfondire ciò che sottende il processo creativo. Anche per Duchamp, lo spazio fisico dell’artista è il luogo preferito dove vengono immessi  e assemblati, in un tempo lento e lungo di circa un ventennio, frammenti concreti della realtà  riutilizzati e nobilitati a definire e a mettere in forma ambientale l’opera definitiva, nella  necessità di metabolizzare e definire nella dimensione creativa, temporale e spaziale, l’estensione dell’altro.  Per questa seconda mostra collettiva internazionale dedicata a Duchamp, sono state inviate a diversi artisti contemporanei  delle postcard con la foto dell’ Etant Donnés, l’assemblaggio  creato da Duchamp tra 1946-1966, e presente al Philadelphia Museum of Art – Usa, opportunamente rivisitato  dal titolo: “Area di confine porta Duchamp”,  chiedendo a loro, nel rispetto del pensiero di Marcel Duchamp,  un intervento “aggiuntivo” di  ideale condivisione della filosofia  dadaista. In questa   seconda collettiva internazionale sono presenti 72 opere di altrettanti importanti artisti  che hanno voluto  condividere  tale proposta come artisti di frontiera  a margine  di un  possibile confine e spartiacque al  sistema omologato  dell’arte ufficiale.
 Marcel Duchamp, Etant Donnès
 
 
Cos’è  Étant Donnés?
Etant-Donnés, è un’opera di Marcel Duchamp  eseguita tra il 1946 e il 1966.
Un assemblaggio di materiali diversi: una porta esterna, e uno spazio interno con l’inserimento di svariati materiali. Le dimensioni dell’opera sono: 242,5X177,8X1245cm, presente al Philadelphia Museum of Art – Filadelfia.
Questo assemblage tridimensionale è l’opera finale in cui Duchamp lavora in gran segreto nell’ultimo ventennio della sua vita: l’unica persona che ne è a conoscenza è la moglie Teeny, che fra l’altro lo aiuta a reperire i materiali necessari. Parte dei componenti di questa complessa struttura vengono infatti acquistati in Spagna (un’antica porta in legno e i mattoni entro cui è murata); altri (foglie e rami secchi) vengono raccolti da Duchamp nel corso di apposite scampagnate, con la moglie che accompagna Marcel guidando una vecchia giardinetta; dei mattoni usati o di scarto vengono recuperati a New York, per la strada nascondendoli entro sacchetti di carta. Quando Duchamp è costretto a cambiare studio e a trasferirsi dalla 14th Strada all’11th una ditta di traslochi si occupa delle parti più ingombranti, mentre lui trasporta tutto il resto pezzo per pezzo e con la massima cura. Nel 1968, al momento di lasciare New York per andare a trascorrere l’estate in Europa, il lavoro è ormai ultimato e Marcel prima di morire si preoccupa di organizzare la sua presentazione finale preparando un manuale di istruzioni per il montaggio della costruzione, accludendo fotografie, note e un modellino in scala. L’opera  verrà  presentata nel luglio del 1969 presso il Philadelphia Museum of Art.  Al visitatore del museo si mostra inizialmente solo una porta murata, un impedimento nella parete di una sala: la porta è chiusa e per vedere cosa vi sia all’interno si deve sbirciare attraverso due fori posti all’altezza degli occhi. In questo modo, Il fruitore dell’opera d’arte si trasforma così in un curioso voyeur.  L’opera  ancora adesso assai poco conosciuta nasce nel bisogno  di porsi al di là, di definire  e mettere in forma totale una possibile estensione dell’altro nella  necessità  ulteriore di metabolizzare la  realtà. Rimane un’invenzione sperimentale giocata a tutto campo su  proiezioni di frammenti e“universi possibili”,  tra la libertà della creazione e la globalità intelligente del fare arte.
701 - Area di confine porta Duchamp 2015.
 
LO SGUARDO OLTRE IL REALE
(la percezione di universi possibili tra proiezione simbolica e arte totale).
Marcel Duchamp aveva iniziato il suo percorso artistico con opere di stile postimpressionista, per poi procedere verso il cubismo di ascendenza futurista, come nella serie “Nudo che scende le scale” tra il 1911-12. Dal 1913, abbandonati la pittura e il disegno tradizionali, si dedica alla sperimentazione, proprio in questo periodo nascono i primi “readymade”, oggetti di uso comune, decontestualizzati e  presentati come opere d’arte. Le nuove idee  radicali di Duchamp anticipano di fatto  la nascita del movimento Dada, che avverrà a Zurigo nel 1916. Nel 1923, dopo aver abbandonato il Grande Vetro, Marcel Duchamp fa sapere di aver smesso di fare arte per dedicarsi al suo passatempo preferito, gli scacchi. Sono di questo primo periodo le opere come  “Ruota di bicicletta” del 1913,  “Anticipo per il braccio rotto” (1915), L’orinatoio “Fontana” (1917),  la Monna Lisa con baffi e pizzetto di L.H.O.O.Q. (1919). Tra il 1915 – 23 nasce la sua prima grande opera, “La sposa messa a nudo dai suoi scapoli anche” o “Grande Vetro”. Dalla metà degli anni ’30 collabora con i surrealisti e partecipa alle loro mostre. Nel 1942 si stabilisce in modo definitivo a New York. E’ del 1951 l’opera “Objet-Dard”, un oggetto di gesso zincato antropomorfo e straniato. Tra il 1946 e il 1966  realizza “Etant donnés”, un grande e ultimo assemblage  che rappresenta la summa delle opere realizzate dall’artista francese nel corso del 20° secolo.  Tutta l’opera di Duchamp deve essere valutata in base a questa particolare chiave di lettura che ingloba momenti di ricerca precedente. In tal senso anche “Etant donnés risponde appieno a questo  particolare modo di fare, infatti, convergono  sotto forma di studi e schizzi buona parte delle sue riflessioni  e approfondimenti precedenti.

L’Étant donnés: 1. la chute d’eau 2. le gaz d’eclairage (Essendo dati: 1. la caduta d’acqua 2. il gas d’illuminazione), è un assemblaggio di materiali diversi. Il contenuto del lavoro,  rimane ancora  misterioso come del resto tutta la sua intera opera.

L’opera finale risulta composta da una vecchia porta di legno e uno spazio oltre la porta ricreato come un vero environnement con la presenza di ramoscelli, vetro, linoleum, velluto, un motore elettrico posizionato all’interno di una scatola di biscotti che ruota un disco forato, un allestimento di luci, elementi appartenenti al mondo della fotografia e dipinti a mano che formano il paesaggio assieme  a una figura  centrale femminile in pelle. Curioso è che la prima moglie dell’artista fu il modello per la gran parte della composizione femminile, mentre la seconda moglie posò per il braccio. L’opera è’ stata descritta  dall’artista Pop americano Jasper Johns: “la più strana opera d’arte in qualsiasi museo“. Ci appare come un complesso e insolito assemblaggio ambientale; “chi sbircia attraverso i due piccoli fori presenti nella vecchia porta di legno spagnola trova una spettacolare vista con una donna nuda che si trova adagiata su un letto di rami e foglie cadute, nella sua mano sinistra, questo manichino di pelle tiene in alto una vecchia lampada a gas del tipo Bec Auer, mentre dietro di lei, in lontananza, un paesaggio lussureggiante sale verso l’orizzonte. Questo sfondo illuminato è costituito da una fotografia ritoccata di un paesaggio collinare con un fitto raggruppamento di alberi delineato contro un cielo turchese nebuloso. L’unico movimento nella grotta  è una cascata scintillante che si versa in un lago sulla destra, ottenuta da una sorgente luminosa tremolante alimentata da un motore invisibile. La cascata e la lampada a gas illuminante sono gli elementi “dati” nel titolo enigmatico, che proviene da una delle note precedenti di Duchamp per The Bride Stripped Bare dai suoi Bachelors, Even (The Large Glass), suggerendo una connessione intima tra i due temi”. Ad opera ultimata, l’artista incise il titolo, le date e la sua firma sul braccio destro della figura di donna nuda che costituisce l’elemento centrale dell’istallazione. L’opera finale risulta accompagnata da un manuale di assemblaggio e smontaggio dell’opera contenuto in un raccoglitore d’istruzione ad anelli datato 1966, accludendo fotografie, note e un modellino in scala accuratamente compilato da  Marcel Duchamp.
Al visitatore del Philadelphia Museum of Art si mostra inizialmente solo una porta murata nella parete di una sala: la porta è chiusa, per vedere cosa vi sia all’interno, il visitatore, da  curioso  voyeur deve sbirciare attentamente attraverso due fori posti all’altezza degli occhi. Al di là di una falla aperta in un muro di mattoni si apre un paesaggio luminoso. Nella parte centrale della composizione si osserva poi la testa della donna (la Sposa “desiderosa” del  Grande Vetro ) che ci riconduce  per  associazione logica all’Origine del mondo” di Courbet del 1866. La presenza oggettiva, il concreto realismo della porta, il forte trompe-l’oeil dell’assemblaggio nasconde  e contraddice un paesaggio inaspettato, una serie di insolite presenze simboliche. Dalla presenza concreta e reale della porta si va verso la percezione  di un mondo interiore costruito da riflessioni stratificate, da accostamenti di “universi possibili” tra proiezioni simboliche e arte totale che si  coniugano e si definiscono oltre il dato reale.
Non è facile comprendere  il pensiero concettuale di Duchamp soggetto a  molteplici associazioni e slittamenti del pensiero. L’artista non intende riprodurre la realtà in quando tale, ma definire una dimensione “trascorrente” carica di stimoli e umori che possano mettere in movimento una complessità coinvolgente.  Chi guarda le sue opere non dovrebbe limitarsi al semplice significato apparente dell’oggetto materiale, ma  cercare di porsi al di là di un limite,  fuori  del consueto e logico ragionamento. Dopo il Grande Vetro del 1923, la ricerca associativa, l’approccio concettuale di Duchamp si definisce in modo chiaro e convincente; spostando l’oggetto dal suo naturale contesto logico, la de-contestualizzazione data genera un nuovo  valore e  un nuovo senso da  attribuire all’oggetto. Con “Etant Donnés”, poi, la creazione coincide con la complessità e la partecipazione attiva del fruitore, inoltre, da consueta presenza materiale si tramuta in apparizione sfuggente e visionaria. L’opera ultima, nasce  essenzialmente per guardare oltre; è proprio lo sguardo a commettere l’atto impuro di violare una certezza, un limite, un confine certo che  risulta d’intralcio tra il visibile e l’invisibile.
I due artisti dadaisti, Kurt Schwitters  e Marcel Duchamp  proposti da noi a questa 57 Biennale Internazionale di Venezia 2017, quasi negli stessi anni,  hanno in comune l’attenzione  a  costruire  e  utilizzare uno spazio oggettivo di tipo ambientale convogliando materiale  recuperato di scarto, alla ricerca di “universi possibili”, tra visibile e invisibile, tra  proiezione simbolica e spazio globaleQueste due esperienze saranno fondamentali e da stimolo  per tutte le ricerche concettuali e ambientali internazionali che saranno  prodotte tra gli anni 60’ e 70’ nell’ambito dell’arte contemporanea.      Giovanni Bonanno   11 agosto 2017
La Biografia:
 marcel-duchamp 2

BIOGRAFIA   MARCEL DUCHAMP (1887-1968) Biografia Henri-Robert-Marcel Duchamp nasce il 28 luglio 1887 nei pressi di Blainville, in Francia. Nel 1904 raggiunge a Parigi i fratelli Jacques Villon e Raymond Duchamp-Villon e frequenta i corsi di pittura all’Académie Julian fino al 1905. Le sue prime opere sono di stile postimpressionista. Espone per la prima volta nel 1909 al Salon des Indépendants e al Salon d’Automne di Parigi. I suoi dipinti del 1911, in stretto rapporto con il cubismo, tendono tuttavia a rappresentare immagini successive di un corpo in movimento. Nel 1912 dipinge la versione definitiva di Nudo che scende le scale: l’opera viene esposta al Salon de la Section d’Or dello stesso anno e in seguito, nel 1913, all’Armory Show di New York, dove susciterà grande scalpore. Le idee iconoclastiche e radicali di Duchamp precorrono la nascita del movimento Dada, che avverrà a Zurigo nel 1916. Dal 1913, abbandonati la pittura e il disegno tradizionali, si dedica a forme d’arte sperimentali elaborando disegni meccanici, studi e annotazioni che verranno inclusi nella sua grande opera degli anni 1915-23, La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche. Nel 1914 realizza i primi “readymade” (oggetti di uso comune, a volte modificati, presentati come opere d’arte) destinati ad avere effetti rivoluzionari per molti pittori e scultori. Nel 1915 Duchamp soggiorna per la prima volta a New York, dove la sua cerchia include Katherine Dreier e Man Ray, con i quali più tardi fonda la Société Anonime, Louise e Walter Arensberg, Francis Picabia e altri esponenti dell’avanguardia artistica. Dopo un periodo di nove mesi che trascorre a Buenos Aires occupato principalmente nel gioco degli scacchi, Duchamp ritorna in Francia nell’estate del 1919 e si lega al gruppo Dada parigino. Di nuovo a New York nel 1920, realizza le sue prime strutture motorizzate e crea Rrose Sélavy, il suo alter ego femminile. Tornato a Parigi nel 1923, Duchamp pare abbandonare l’arte per il gioco degli scacchi, ma in realtà non cessa i suoi esperimenti artistici. Dalla metà degli anni ’30 collabora con i surrealisti e partecipa alle loro mostre. Si stabilisce in modo definitivo a New York nel 1942 e diviene cittadino statunitense nel 1955. Negli anni ’40 è in contatto con i surrealisti emigrati a New York e con essi espone varie volte. Nel 1946 comincia a realizzare Etant donnés, un grande assemblage al quale lavorerà segretamente per i successivi vent’anni. Muore a Neuilly-sur-Seine, nei pressi di Parigi, il 2 ottobre 1968.


“PADIGLIONE  LAUTANIA VIRTUAL  VALLEY
UNIVERSI POSSIBILI / Verso La Globalità Intelligente
“Kurt Merz/Ecology”
“Area di Confine Porta Duchamp”  
Da sabato  6 maggio 2017 a domenica 26 novembre 2017
Contrassegnato da tag , , , , , , , , , , , ,

Mostra Personale di JOHN M. BENNETT

John M. Bennett / EXPERIMENTAL VISUAL  POETRY

Testo critico di  Giovanni Bonanno

John  M. Bennett (b. 1942, Chicago) è un poeta visuale americano sperimentale in cui la scrittura, il suono, la poesia fonetica e la performance  si relazionano  in una sorta di poetica “asemic” in cui il consueto concetto di poesia lineare si evolve  e viene sovvertito in direzione di una visione sperimentale, accogliendo di fatto umori e ricerche  nuove nell’ambito della scrittura, del suono e della parola. Una forma poetica che come scrivono Sinclair Scripa / Tara Verheide “incapsula il caos che caratterizza la nostra esperienza di e in questo mondo, dandogli una forma e presenza nelle parole, fonemi, lingue”. Del resto, lo stesso John B. Bennett  conferma che  “in un certo senso tutto è il caos; il mio lavoro è un modo per cercare d’incanalare in qualche modo quel caos in forme che risuonano con me. Così le poesie sono piccoli pezzi di caos. La realtà è caos, ma ha senso se si può vedere dalla giusta prospettiva”.

L’asemic writing”, ovvero la scrittura asemantica è il campo privilegiato di  Bennett, il luogo occasionale in cui molti elementi, apparentemente in attrito, convergono  in una sorta di flusso visivo,  di affioramento casuale, di  emersione data per oggettiva che oggettiva non potrà mai essere. Una sorta di evidenziamento  semantico “aperto”, senza parole che hanno un solo significato, libero da qualsiasi costrizione prefissata. La “scrittura asemantica”, infatti,  nasce come una forma di scrittura poetico/letteraria formata essenzialmente dall’utilizzo di parole inventate con un  conseguente significato nascosto. Nonostante non ci sia un contenuto semantico specifico,  è comunque capace di coinvolgere diversi campi di ricerca lasciando un varco aperto per l’interpretazione e l’invenzione. Insomma, una scrittura dotata di segno, ma senza significato e tuttavia, senza perdere la possibilità  di creare altro senso. John M. Bennett appartiene a questa particolare e privilegiata area di ricerca in cui la libertà e la metafora multi-strutturata di significato si condensa  in lacerti di senso ambiguo dandogli una  presenza apparentemente in forma di scrittura, di immagine o di parola. Bennett, non de/scrive poesie lineari, secondo Sinclair Scripa,  “usa la poesia come mezzo di comprensione per creare ciò che non può essere compreso e cosa non può esistere”, e quindi, l’uso della parola scritta e verbale come mezzo per suggerire  emotivamente dell’altro rispetto al consueto.

Collocatosi da diversi decenni in quell’area di esperienza che  io chiamo “dell’arte marginale”, In 50 anni  di attività poetica, ha saputo rigenerarsi  con  una sorprendente varietà di proposte. Inoltre, come editore  alternativo e  ha pubblicato più di 400 libri e libretti di poesia, ognuno molto diverso  dall’altro. Richard Kostelanetz  lo definisce “l’autore seminale della mia generazione”, in grado di relazionarsi proficuamente con le avanguardie storiche del novecento e  con personaggi interessanti come per esempio  André Masson,  Max Ernst, Henri Michaux, Paul Klee, fino ad rigenerarsi  nelle “asemic writings” (“scritture asemantiche”) con una scrittura “universale” capace di suggerire  nuove e diverse  interpretazioni possibili. Non essendoci  una corrispondenza logica  fra significante e significato che caratterizza la scrittura convenzionale, si determina  nella sua opera un’assenza di significato, una sorta di “vuoto semantico” che l’artista colma in parte con una  figurazione apparentemente ludica e ingenua, una sorta di ibrida e fluida “scrittura poetica”, suggerendoci  di integrare tale vuoto con una interpretazione personale  che necessariamente  deve coinvolgere la sfera cognitiva, culturale e emotiva.

La sua è una scrittura  che considero “d’interferenza relazionale” con l’intenzione ben precisa di annullarne la completa  leggibilità e per definirsi come lettura autonoma,  proprio perché  riposta in profondità nelle nostre menti inconsce. Del resto, anche le performance verbo-sonore seguono questa logica  espressiva caratterizzata volutamente da un atteggiamento di attrito, come lui stesso afferma, apparentemente compulsivo di tipo psico-balbettio poetico. Una scrittura creativa, quindi, che fonde testo e segno grafico per divenire in definitiva  anche lacerto d’immagine  al limite della figurazione o della scrittura grafica.

Penso alle serie di opere presenti in questa mostra personale con la presenza di piccoli esseri  o ri/tratti giocosi nati dalla provvisorietà  della scrittura e del caso. Frammenti di  una scrittura decantata  che si da a nuova vita.  Presenze lievi e “insostanziali” che vanno a definirsi provvisoriamente su concreti e reali cartoni di imballaggio recuperati e resi possibili, segni che si definiscono nella dimensione più oscura e precaria dell’esistere svincolate da un normale e consueto senso logico.  Perché  è nel caso e solo nella dimensione “aperta del fare”   che  l’espressione poetica può esistere e manifestarsi  scavalcando la comprensione univoca  della lettura linguistica decodificata; così, solo così un testo poetico può essere interpretato in modo personale, liberando la mente e rincorrendo a diversi  significati plurimi che derivano da ciascun  accordo e simbolismo grafico.

Dobbiamo sottolineare, infine che l’orizzonte delle proposte di Bennett coincide anche con le assidue collaborazioni tra artisti e poeti contemporanei  di diverse latitudini  (collab works), diventata ormai una  consuetudine consolidata. Rimane una costante ricerca in campo  per mettere a confronto mondi e modalità operative differenti. Nel corso degli anni ha collaborato con molti artisti americani  e stranieri, tra le assidue frequentazioni dobbiamo segnalare il contributo di Tom Cassidy, Mc Murtagh, CMB, Jim Leftwich, Sheila, Baron, il nostro Lancillotto Bellini e tanti altri poeti internazionali.  Diretto discendente del Dadaismo e della scrittura sperimentale, viene presentata  in  questa  mostra  personale la poetica  di ricerca  di questo importante artista americano con 71 lavori degli ultimi tre anni (2014 – 2016).  L’evento vuole essere anche un doveroso  omaggio alla visione del non-sense e dell’objet trouvé  diffusa dal Dadaismo  di cui  nel 2016 è ricorso il centenario, (1916-2016).                Giovanni  Bonanno     Dic. 2016

Contrassegnato da tag , , , , , , , , , ,

OPHEN VIRTUAL ART / LA GALLERIA TUTTA VIRTUALE

 

 

Immagine

L’intervista di Francesca Salvato

a

Giovanni  Bonanno

La Ophen Virtual Art Gallery è la prima galleria virtuale in cui l’arte contemporanea diviene virtuale e interattiva. Nessun muro e nessuna sala bensì solo il web per accogliere le opere, un luogo in perenne evoluzione dove si alternano i lavori di artisti più e meno noti. Ciò permette agli artisti emergenti di usufruire gratuitamente di una vetrina costante e consente, a quelli con maggiore esperienza nel settore, di rendersi sempre più internazionali. La Ophen Virtual Art Gallery è sempre pronta a spalancare le sue porte proponendosi come ponte tra l’arte in senso stretto e l’innovazione della rete internet. Senza dubbio si tratta, allo stato attuale, della prima e più importante galleria on-line a livello mondiale che si occupa di arte contemporanea

 

Signor Bonanno, ci dica come è nata l’idea di una galleria virtuale?

Lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery, nasce nel 2009 ed è uno dei primi contenitori espositivi virtuali internazionali al mondo con l’arte a portata di mouse. Durante questi ultimi decenni avevo notato che il pubblico era sempre meno. Probabilmente davanti ad una galleria privata, si palesa l’insofferenza e la paura di pagare persino l’ingresso. Solo le grandi mostre con un grosso battage pubblicitario permettono di avere un numero considerevole di visitatori; penso alle mostre dedicate a Van Gogh, agli Impressionisti o alla rassegna della Biennale di Venezia. Il fruitore molto spesso rimane indifferente a tante importanti proposte culturali, per cui, un’altra ragione in più per cercare una nuova possibilità e sfidare la “pigrizia” del pubblico nei confronti dell’arte contemporanea. La crisi economica e culturale del sistema Italia. In questi ultimi anni il vento ha spazzato via in un solo colpo non solo le imprese ma anche le gallerie d’arte, tanti spazi espositivi. La crisi ha insabbiato il potere d’acquisto della classe media che, pur entro certi limiti, aveva investito in questo settore. È un momento davvero difficile, le spese di gestione sono alte, si fa fatica a trovare qualche sponsor e gli investimenti puntano sul sicuro, cioè su “autori storici”. Non ci si sta dietro alle spese, si vende ormai pochissimo. Chi non ha le spalle larghe e coperte di sicuro chiude. Come tante altre realtà, si chiude a Modena come a Milano o a Parigi. Questa è l’aria, purtroppo, che si respira oggi. Consapevole di questa nuova realtà ho voluto realizzare compiutamente un mio progetto curatoriale ed espositivo di tipo sperimentale, alternativo e innovativo rispetto all’attività consueta delle gallerie d’arte, assorbendo di fatto tutte le strategie acquisite e utilizzate dalle gallerie tradizionali e nel contempo usando le nuove tecnologie che avevo a disposizione.

 

Com’è nata la collaborazione tra lei e Sandro Bongiani, ci racconti da quale formazione proviene? 

Inizialmente ero solo un artista e critico d’arte contemporanea. Per un certo periodo scrivendo di arte e recensendo le mostre su varie riviste mi firmavo con il nome Sandro Bongiani. Per questa avventura ho preferito ripescarlo e trovarmelo vicino utilizzandolo come una sorta di alter ego virtuale, un altro sé, diciamo pure una seconda presenza interattiva che mi affianca e collabora. Di fatto sono solo a sobbarcarmi tutto il lavoro; dalla programmazione tecnica annuale delle mostre da fare al contatto con l’artista, dal comunicato stampa, locandine, newsletters, alla stesura del testo critico di presentazione e poi la diffusione alle varie riviste e spazi culturali seguendo passo dopo passo l’evento dall’’inaugurazione a tutto il periodo della mostra. Ogni mostra è affiancata da un significativo programma di comunicazione mediante il nostro Archivio e ufficio stampa Ophen Documentazione d’arte Contemporanea creato nel lontano 1989. A volte, se sono molto interessato ad un artista, scrivo anche qualche poesia che diffondo nel Web. Ogni volta è un lavoro immane ma confesso che lo faccio con piacere ben sapendo che sto contribuendo a cambiare il modo di operare all’interno del sistema ufficiale dell’arte. Oggi sono contemporaneamente più cose; artista, curatore, blogger, poeta, gallerista e…. Di certo, tutto questo lavoro non potrebbe essere fattibile al meglio se le varie attività fossero demandate a diverse figure culturali. Anche per questo lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery risulta unico nel suo genere come la prima e autentica galleria virtuale al mondo con una visione e una presenza ben definita, rispetto alle tante pseudo-proposte provvisorie presenti nel web.

 Immagine

Un progetto ambizioso e rischioso….. 

Il mondo dell’arte è un mondo impenetrabile che non permette nessun scambio perché controllato da “corporazioni” che sanno gestire benissimo il mondo commerciale dell’arte. L’alternativa era quella di aprire una associazione culturale oppure una cooperativa gestita dagli artisti. Vecchia storia! Vi era il bisogno urgente di un nuovo modo di concepire l’arte e produrre cultura; è tempo che da parte degli operatori del settore e degli addetti ai lavori si attivino serie riflessioni su possibili nuove strategie di rinnovamento. In queste condizioni non aveva alcun senso affittare uno spazio espositivo e utilizzarlo per ospitare delle mostre, era troppo deprimente, per cui ho deciso di creare uno spazio virtuale decisamente accessibile a tutti quelli che orbitano all’interno della galassia globale semplicemente utilizzando una connessione internet. L’obiettivo che mi sono posto è di realizzare una piattaforma interattiva capace di ospitare le mostre temporanee, una sorta di collezione permanente in grado di conservare in modo duraturo tutte le mostre passate archiviandole all’interno di un archivio generale online. 

 

Come vive e viene percepita la realtà virtuale nell’arte? 

Attualmente vi sono differenti approcci alla ricerca di un rapporto interattivo con la grande massa di utenti del mondo di internet. C’è chi propone l’inserimento di foto di opere, quasi una sorta di gallerie fotografiche, chi utilizza lo spazio in vendita affittandolo come un semplice affittacamere e chi si è illuso di poter risolvere il problema della partecipazione utilizzando magari una piattaforma più dinamica e interattiva 3D via internet visitabile via browser dando spazio all’attivismo dell’utente che di fatto diventa un interlocutore attivo, preferendo lo spazio e gli ambienti accessibili e navigabili, dimenticando però, l’opera d’arte che risulta così secondaria rispetto all’evento partecipativo del percorso 3D. 

  

Gli artisti come la vivono?  

Gli artisti che condividono questa mia avventura sono attratti da questo nuovo modo di procedere e relazionarsi con l’opera d’arte ben sapendo che non sussiste la percezione e il contatto diretto in senso fisico con l’opera come risulta evidente da una visita ad una galleria tradizionale. Potrebbe essere questo un handicap. Tuttavia, devo far notare la grande possibilità di essere presenti in tempo reale nel web in una dimensione globale a 360 gradi e visibile 24 ore su 24. Questa è la nuova frontiera aperta del Web di una galleria virtuale permanente d’arte accessibile da tutto il mondo

 

Le mostre come nascono e come vengono allestite? 

Lo spazio virtuale è una proposta sperimentale nata nel 2009 con la prima mostra collettiva virtuale “Tre artisti a confronto”, con la presentazione dei lavori di Roberta Fanti, Giuseppe Celi e Bruno Sapiente, l’esposizione delle opere avviene in tre sale virtuali con un massimo di 30 opere per sala. Lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery con le tre classic room nasce da una semplice constatazione che è possibile utilizzare le strategie acquisite delle gallerie tradizionali, quelle che io considero “dello spazio fisico” attivando una proposta con reali frequentazioni provenienti da tutte le parti del mondo. Uno spazio decisamente virtuale, interattivo e accessibile ovunque. La mia galleria virtuale di solito ospita 3 – 4 mostre d’arte all’anno sempre con proposte serie e di qualità. Quello di gestire una galleria d’arte diversa dalle altre è sempre stato un mio grande sogno che ho coltivato da lungo tempo, capace di poter offrire maggiori opportunità in termini di visibilità e con la caratteristica di ricevere visite da spettatori provenienti da tutte le parti del mondo in modo interattivo, aperto e accessibile ovunque, da chiunque e in qualsiasi momento. Questo progetto digitale si basa sul no-profit, evitando di commercializzare le opere d’arte in senso speculativo. Se qualcuno vuole vedere o comprare le opere esposte deve solo rivolgersi all’artista in questione. Non siamo dei commercianti e non vi è nessuna merce in cambio. La galleria virtuale, oggi, è la più importante se non l’unica realtà virtuale al mondo presente on line nel Web che ha un approccio diretto e serio con l’opera d’arte. Uno spazio virtuale che con le sue tre sale può ospitare anche 90 opere in tutto. Si può accedere a questo spazio utilizzando un qualsiasi computer oppure uno smartphone, un tablet, un book reader con una semplice connessione ad internet. 

 

Nel corso di questa avventura così audace sono state maggiori le vittorie o le sconfitte (ammesso che ve ne siano state)? 

Le avventure, in quando tali sono sempre stimolanti e bisogna affrontarle cercando di attivarle con coscienza e partecipazione. Non ci sono insuccessi. L’unica sconfitta che conosco è quella di negare per paura un proprio specifico contributo a un determinato problema. Se devo fare un primo provvisorio e precario bilancio del lavoro svolto in cinque anni di attività di gallerista virtuale posso affermare che i miei contatti con tanti artisti di grande interesse mi hanno facilitato molto, permettendomi di proporre mostre di qualità come quelle organizzate a Giuliano Mauri, Paolo Scirpa, Marcello Diotallevi Clemente Padin, Ruggero Maggi, Anna Boschi, Vincenzo Nucci, Franco Longo e tanti altri che hanno partecipato e condiviso con impegno questa avventura. 

 

Pensa che potranno realizzarsi mostre in tempo reale in punti diversi del mondo? 

Siamo solo alla prima preistoria di questo nuovo modo di considerare l’arte e la cultura. Sono convinto che occorrerà solo attendere un po’ per verificare un numeroso pullulare di proposte virtuali presentati in tempo reale in diverse parti del globo che assorbiranno di fatto le esperienze tradizionali a favore di una nuova condizione e concezione dell’arte. L’ultima mia fatica risale al 2011, anno in cui ho creato il Bongiani Ophen Art Museum, un Museo Virtuale di Arte Contemporanea interattivo con 45 Room in cui vi sono presenti le opere virtuali temporanee di altrettanti artisti e anche la Collezione Grafica di arte Contemporanea con altre 45 sale virtuali in cui archivio le opere autentiche che sto raccogliendo per donarle prossimamente ad un museo d’arte contemporanea.  

 

In futuro?  

Un sogno che ho ancora nel cassetto è quello di realizzare altre mostre online senza dover spostare materialmente quadri opere e persone, utilizzando un semplice monitor e facendo interagire l’artista stesso che dovrà magari dall’altro capo del mondo inserire direttamente le sue opere dentro la piattaforma virtuale divenendo così anche protagonista e curatore di se stesso.

 

Considerazioni e speranze? 

 Sono convinto che stiamo scardinando un sistema monolitico che fino a poco tempo non permetteva nessuna interferenza, a vantaggio di una partecipazione più attiva, libera e democratica, dove le persone sono destinate ad avere un’interazione privata e personale con l’opera d’arte al di là delle scelte del mercato e del sistema dell’arte ufficiale. Non è un fenomeno di transizione ma un nuovo modo di concepire la fruizione artistica e museale. Per lungo tempo, il sistema ufficiale dell’arte ha condizionato le scelte in forma di monopolio assoluto. Con l’avvento di Internet tutto è diventato possibile trasformando i siti web in spazi curatoriali. La galleria virtuale nasce in parallelo alle proposte dell’arte ufficiale con lo scopo di bypassare eliminando i cosiddetti intermediari e arrivare più facilmente al pubblico. L’attivismo viene considerato oggi ancora paradossalmente “sotto culturale”, in realtà si ha paura di questi sconvolgimenti che possono alterare assetti ritenuti fino a poco tempo fa stabili e sicuri. 

Immagine

 

 

Contrassegnato da tag , , , , , , , , ,